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domenica 1 luglio 2012

WOODY


Un articolo su Repubblica mi rammenta che sono passati cento anni dalla nascita di Woody Guthrie, e una serie di ricordi mi rimbalzano immediatamente. Le letture fatte da ragazzina, la scoperta di un'America diversa, l'inizio di una passione mai davvero scalfita, solo a tratti un po' offuscata forse: libri canzoni storie. Mi affascinavano gli Stati Uniti degli anni trenta, la Depressione, il New Deal - e il Buio oltre la siepe e  Furore e Woody (che aveva scritto sulla sua chitarra "questa macchina ammazza i fascisti") si intrecciavano nelle mie letture, nella sorpresa che mi suscitava scoprire che si, anche negli Stati Uniti esisteva una storia di movimenti, di oppressi che si ribellavano, di sindacalisti rivoluzionari in cui tutto si mischiava, la retorica della frontiera, il west, le vicende biografiche dei tantissimi europei migranti portatori di anarchia, di socialismo. Ed era anche - la memoria, che strumento potente! - un ciclo di film trasmesso dalla Rai di allora, intitolato "L'altra America", ogni film rigorosamente preceduto da una spiegazione, la Rai aveva ancora quella vocazione pedagogica (e va bene, anche pedante a volte) che pure era servita a mettere in circolo cultura, curiosità, passione; e di quei film ricordo credo "Soldato blu",  di sicuro "Alice's Restaurant", con Arlo, il figlio di Woody e naturalmente "Fragole e sangue". Ero ragazzina proprio, credo ancora alle scuole medie, quando ho letto l'autobiografia di Woody Guthrie, "Questa terra è la mia terra", ed ero decisamente più grande quando ho sentito cantare "This land is your land" da Bruce Springsteen. 
Tutto si tiene, in un certo senso, no? E' lo stesso filo che ci unisce,  se sulle videocamere di Occupy i reporter volontari e militanti ci scrivono "this machine kills fascists".

lunedì 25 giugno 2012

ANNI TRENTA - Album di famiglia

pareva un fotogramma di un film francese
o uno degli ultimi matrimoni repubblicani di madrid - repubblicana rossa antifascista 
una festa al portico d'ottavia prima che li tradissero,
era lei spavalda che sputava addosso a un uomo meschino in camicia nera
era lui appena tornato dalle guerre del regime, le prime, l'impero, l'africa,  
era lei sola sotto i cieli carichi di bombe nell'agosto del '43
erano loro non ancora toccati da tutto quel futuro

giovedì 21 giugno 2012

FACCIALIBRO O STORIA DI UNA DISFATTA

 Io sono una abbastanza categorica – però mi lascio quasi sempre un margine, anche piccolissimo, per salvarmi la faccia e giustificarmi davanti a me stessa e ai miei diciamo così cedimenti. Quindi, dopo aver detto no per qualche anno al cellulare, ho ceduto quando mi sono resa conto che a) non esistevano più telefoni pubblici funzionanti; b) non avendo un ufficio mio, era fondamentale che io fossi rintracciabile in caso di febbre virus otite e altri disastri negli anni del nido/scuola materna dei due pargoli.
Facebook altrimenti detto il faccialibro l’ho respinto con sdegno per un sacco di tempo. Ma proprio con un piglio antipatico. Ci ho fatto sopra delle pontificazioni di tutto rispetto per tenerlo lontano da me, vade retro socialità virtuale! orrore l’idea di ritrovare ex fidanzati imbolsiti! ma chi li vuole rivedere i compagni di scuola che son trent’anni che non ci parliamo e sto bene così! ecc.ecc.ecc.
Poi sono arrivate le prime cannonate: “ma non vorrai mica impedire ai figli di usarlo?!?” (si, vorrei), “ma lo strumento è neutro, dipende dall’uso che se ne fa, scusa!” (anche la bomba atomica è neutra?), “ma ti perdi quel dibattito fondamentale sulla scissione in corpuscoli infinitesimali dell’ala rivoluzionaria dei massimalisti finlandesi nell’ambito della terza internazionale all’epoca della guerra di spagna, e dai, ci siamo trasferiti tutti su FB!!!” (e si, me lo perdo senza patemi, quel dibattito lì...).
Poi è arrivata la mozione degli affetti: amici che ti dicono “è vero, non ci sentiamo mai, ma se sei su FB una pizzata riusciamo ad organizzarla”; altri che ti giurano “ma guarda che non è una schiavitù, anzi, girano un sacco di cose inutili ma anche cose interessanti”; e ancora “ehhh ma se non sei su FB come fai a mettere un commento a dire mi piace condivido, esisto?”. Ehhhh...
La verità è che la mia disfatta si chiama curiosità.
La curiosità mi mangia viva e di fronte a lei non so resistere.
Quindi mi son detta ok, proviamo. Con tutti i miei paletti mentali e retropensieri e giustificazionismi del caso.
La prima sensazione è di essere un’analfabeta – e neanche di ritorno, proprio analfabeta assoluta; la seconda è di guardare dal buco della serratura – ha  un che di leggermente voyeuristico, questa cosa di vedere gli amici e gli amici degli amici; la terza, che mi ha fatto letteralmente alzare le mani dalla tastiera per prendermi un momento di pausa, è stata l’inquietudine di vedersi sciorinare sotto gli occhi una lista di “persone che potresti conoscere” e accorgersi che si, in effetti quelle persone lì le conosci quasi tutte.
La quarta è stata di ammettere la disfatta, riconoscermi l’onore delle armi, e tentare una controffensiva dignitosa. Cioè imparare a usare faccialibro senza troppi patemi...

mercoledì 20 giugno 2012

ESAMI

L’altroieri era giornata di esami per tutti. Per il figlio grande, alle prese con la prova Invalsi; e per me con l’appello di storia pre-vacanziero. Sono andati così così tutti e due: l’Invalsi di matematica pare fosse un po’ delirante (con il ragazzo Lorenzo che doveva prendere l’autobus per una spiaggia sarda ma la tabella oraria fornita dal signor Invalsi era indecifrabile, tanto che qualcuno ha deciso di farlo andare a piedi, il ragazzo Lorenzo); l’esame di storia – scritto e orale – ha lasciato sul campo un po’ di feriti e contusi.  Quando esco da questi appelli, dal giro delle interrogazioni, sono sempre un po’ perplessa. Ci sono tornate in cui si presentano molti studenti che hanno una bella testa, passione, cura, magari ciccano alcuni dettagli, ma nell’insieme riescono a tenere le fila di un discorso articolato e complesso. Altre volte in cui si ammassano gli indecisi, i confusi, quelli che proprio non sono riusciti a cogliere neanche un briciolo della storia del novecento. Di fronte a questi ragazzi spesso resto perplessa, mi addosso colpe di categoria (gli insegnanti passati presenti e futuri non sono stati capaci), trovo giustificazioni sociologiche (è mancata la trasmissione, il racconto del passato all’interno dei gruppi famigliari), e naturalmente cerco una ragione “storica”: sono decenni ormai che la storia è stata usata, mistificata, ribaltata, manipolata, il risultato sono ragazzi che non hanno nessuna cognizione del passato più recente. Poi mi infurio anche: hanno vent’anni, cazzo, a volte semplicemente non hanno studiato. Eppure, di fronte a certe risposte resto basita: perché lasciano intendere un pozzo senza fondo di idee confuse, di a-conoscenza che è diversa dall’ignoranza, è uno stato che prevede la supposizione di sapere mentre alla prova oggettiva questa presunzione si dimostra falsa, risposte che prefigurano un concetto del passato in cui non vi è alcuna differenza tra il 1945, il 1348 o il 1989 (fine della seconda guerra mondiale, diffusione della peste nera, crollo del muro di berlino – giusto per); il passato è una massa oscura, molliccia, in cui tutto è uguale e non esistono responsabilità – né individuali né collettive - il che porta alla negazione del libero arbitrio, della necessità di essere vigili e partecipi, è tutto un unico schifido blob e noi insegnanti dei gran rompicazzo che pretendiamo dagli studenti la memorizzazione di avvenimenti senza senso.
Però, se alla domanda “cos’è la strage di Portella della Ginestra?”, la risposta è: “è quando viene ucciso il commisario Calabresi”, ecco, di fronte a questo scardinamento del reale, io mi sento impotente.

sabato 16 giugno 2012

LA SORELLA DI DOROTHEA (MIDDLEMARCH)


Mentre sei lì che segui le tribolazioni di Dorothea e sono già pagine e pagine che ti domandi perché, quale testardaggine quasi patologica l’abbia indotta a sposare quel musone di Casaubon – e intanto segui i fili di tutti gli altri personaggi, sopra a tutti il Dr.Lydgate, anche lui completamente scentrato nella scelta della moglie e che comunque in quanto medico ti fa pensare a tutti i medici dei romanzi di Cronin, compreso il Dr.Manson con la faccia di Alberto Lupo – mentre segui Dorothea e le sue riflessioni dunque, ti imbatti in un dialogo tra sta povera ragazza infilatasi in un matrimonio e successiva vedovanza con il vecchio (e palloso) erudito, e la sorella Celia, decisamente più semplice, con meno aspirazioni di conoscenza e comprensione del mondo, ma dotata di un certo qual buon senso che rende più lievi le preoccupazioni quotidiane. Discorrendo dei motivi e delle ragioni per cui una moglie dovrebbe docilmente sottomettersi ai desideri del marito e più in generale accettare senza troppo cavilllare i suggerimenti maschili, Dorothea mostra di non volerne sapere di gente che continua a ficcare il naso negli affari suoi, e Celia cerca di convincerla che qualche consiglio non può fare male, “because of course men know best about everything, except what women know better”.
Solo una frase, lapidaria, perfetta, cristallina (la potenza di quell'"except"!) eppure contiene tutta la scrittura di George Eliot e mentre la leggo e sorrido, capisco perché Virginia Woolf abbia definito Middlemarch “one of the few English novels written for grown-up people”.

giovedì 14 giugno 2012

BLOG - 14 giugno 2012

“perché non apri un blog?”
oppure
“tu dovresti aprire un blog”
“sono incostante”
“non importa”
“mi trovo meglio nei blog degli altri – è più facile, è come accomodarsi in una poltrona che ti hanno preparato”
“ma no, è la stessa cosa, spesso i post migliori nascono dai commenti”
“mi fa paura l’esposizione del proprio ego, la presunzione, la mancanza di pudore”
“bah”
“obiezione banale, lo so, ma vera...”
“non hai tempo”
“no, non è tanto quelllo; è il dovermi riacchiappare, rimettere a fuoco, i figli sono un’esperienza totalitaria, per certi aspetti”
“ma sono anche una magnifica ispirazione”
“vero”
tutte le obiezioni bocciate
non ci sono scuse: mi piace scrivere, mi aiuta a pensare, a mettere a fuoco le fantasie e i desideri, i sogni, le riflessioni sparpagliate e le intuizioni dimenticate facendo altro.
Quindi, scrivo.
E inizio qui, un giorno prima del mio compleanno – mi faccio un regalo.