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sabato 16 giugno 2012

LA SORELLA DI DOROTHEA (MIDDLEMARCH)


Mentre sei lì che segui le tribolazioni di Dorothea e sono già pagine e pagine che ti domandi perché, quale testardaggine quasi patologica l’abbia indotta a sposare quel musone di Casaubon – e intanto segui i fili di tutti gli altri personaggi, sopra a tutti il Dr.Lydgate, anche lui completamente scentrato nella scelta della moglie e che comunque in quanto medico ti fa pensare a tutti i medici dei romanzi di Cronin, compreso il Dr.Manson con la faccia di Alberto Lupo – mentre segui Dorothea e le sue riflessioni dunque, ti imbatti in un dialogo tra sta povera ragazza infilatasi in un matrimonio e successiva vedovanza con il vecchio (e palloso) erudito, e la sorella Celia, decisamente più semplice, con meno aspirazioni di conoscenza e comprensione del mondo, ma dotata di un certo qual buon senso che rende più lievi le preoccupazioni quotidiane. Discorrendo dei motivi e delle ragioni per cui una moglie dovrebbe docilmente sottomettersi ai desideri del marito e più in generale accettare senza troppo cavilllare i suggerimenti maschili, Dorothea mostra di non volerne sapere di gente che continua a ficcare il naso negli affari suoi, e Celia cerca di convincerla che qualche consiglio non può fare male, “because of course men know best about everything, except what women know better”.
Solo una frase, lapidaria, perfetta, cristallina (la potenza di quell'"except"!) eppure contiene tutta la scrittura di George Eliot e mentre la leggo e sorrido, capisco perché Virginia Woolf abbia definito Middlemarch “one of the few English novels written for grown-up people”.

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