L’altroieri
era giornata di esami per tutti. Per il figlio grande, alle prese con la prova
Invalsi; e per me con l’appello di storia pre-vacanziero. Sono andati così così
tutti e due: l’Invalsi di matematica pare fosse un po’ delirante (con il
ragazzo Lorenzo che doveva prendere l’autobus per una spiaggia sarda ma la
tabella oraria fornita dal signor Invalsi era indecifrabile, tanto che qualcuno
ha deciso di farlo andare a piedi, il ragazzo Lorenzo); l’esame di storia –
scritto e orale – ha lasciato sul campo un po’ di feriti e contusi. Quando esco da questi appelli, dal giro
delle interrogazioni, sono sempre un po’ perplessa. Ci sono tornate in cui si
presentano molti studenti che hanno una bella testa, passione, cura, magari
ciccano alcuni dettagli, ma nell’insieme riescono a tenere le fila di un
discorso articolato e complesso. Altre volte in cui si ammassano gli indecisi,
i confusi, quelli che proprio non sono riusciti a cogliere neanche un briciolo
della storia del novecento. Di fronte a questi ragazzi spesso resto perplessa,
mi addosso colpe di categoria (gli insegnanti passati presenti e futuri non
sono stati capaci), trovo giustificazioni sociologiche (è mancata la
trasmissione, il racconto del passato all’interno dei gruppi famigliari), e
naturalmente cerco una ragione “storica”: sono decenni ormai che la storia è
stata usata, mistificata, ribaltata, manipolata, il risultato sono ragazzi che
non hanno nessuna cognizione del passato più recente. Poi mi infurio anche:
hanno vent’anni, cazzo, a volte semplicemente non hanno studiato. Eppure, di
fronte a certe risposte resto basita: perché lasciano intendere un pozzo senza
fondo di idee confuse, di a-conoscenza che è diversa dall’ignoranza, è uno
stato che prevede la supposizione di sapere mentre alla prova oggettiva questa
presunzione si dimostra falsa, risposte che prefigurano un concetto del passato
in cui non vi è alcuna differenza tra il 1945, il 1348 o il 1989 (fine della
seconda guerra mondiale, diffusione della peste nera, crollo del muro di
berlino – giusto per); il passato è una massa oscura, molliccia, in cui tutto è
uguale e non esistono responsabilità – né individuali né collettive - il che
porta alla negazione del libero arbitrio, della necessità di essere vigili e
partecipi, è tutto un unico schifido blob e noi insegnanti dei gran rompicazzo
che pretendiamo dagli studenti la memorizzazione di avvenimenti senza senso.
Però, se alla domanda “cos’è la strage di Portella
della Ginestra?”, la risposta è: “è quando viene ucciso il commisario
Calabresi”, ecco, di fronte a questo scardinamento del reale, io mi sento
impotente.
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